SANTISSIMA TRINITÀ.
Oggi festeggiamo Dio in modo solenne; lo festeggiamo sempre, ma oggi, in quest’anno così particolare nel quale c’è stato offerto tempo per riflettere, leggere, meditare dovremmo meglio pensare il nostro rapporto con Lui. Il brano del Vangelo ci porta quasi al termine del dialogo fra Gesù e Nicodemo, brano forte dell’evangelista Giovanni che parla della capacità della luce di Dio che vince le tenebre del mondo esterno e del mondo interiore dell’uomo. Queste affermazioni sottolineano la volontà di Dio nel non voler lasciare l’umanità abbandonata a sé stessa in balia di pericoli reali che allontanano l’uomo da Dio. Dio ha “donato” il Figlio per salvarci, per ristabilire una alleanza; il passo decisivo sta nel “credere” in Dio. Chi non crede – dice Gesù – è già perduto. La prima lettura ci ricorda che credere in Dio corrisponde a riconoscere le qualità di Dio, quali la sua misericordia, la pietà, l’amore e la fedeltà, che costituiscono la grandezza del suo nome, di Colui che “cammina in mezzo a noi” (Es 34,9b). La solennità di oggi ci porta a ripensare alla grandezza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; a credere all’amore, alla speranza, alla comunione. Se pensiamo a Dio come a qualcuno che condanna e uccide facciamo bene a non credergli (queste azioni le compie l’uomo e non Dio), ma Dio, il nostro Dio è ben altro. Siamo costretti oggi a confrontarci faccia a faccia con Lui; e quale faccia ha? Quale volto? O quale dei tre? Il volto di Dio è uno solo e il Figlio lo ha rivelato (Gv 1,18): si tratta del volto dell’amore, di Colui che ti ama nella verità. Quel modo di tendere verso Dio, quel “sentire”, in un certo modo scambiato per come un sentimento, è l’azione dello Spirito; lo Spirito ci aiuta a credere e ci apre adesso a Dio e all’umanità perché creata per la comunione, o meglio in realtà creata dalla comunione. Noi creature portiamo dentro una qualche forma di genoma divino che tende alla relazione. Infatti nel discorso a Nicodemo, Gesù entra dentro la forza della relazione a rimarcare la sua prossimità, come a dirci, parafrasando tutto il suo ragionamento: Dio ti ama ancora … nonostante … Dio ti salva. Parole calde quelle del Signore a Nicodemo, ma anche a me. Il mio Dio mi abbraccia prima che lo faccia io, mi ama prima che lo faccia io. Se presi da tutte le complicazioni umane della vita (comprese quelle che stiamo vivendo adesso), non ci apriamo alla possibilità e alla dimensione di questo rapporto, dal farci raggiungere da Dio, ebbene, rischiamo di fallire totalmente e di perdere tutti i significati portanti di qualunque esistenza. Dio, infatti, non è mistero di solitudine, ma di comunione. Sant’Agostino diceva che quando credi di aver trovato Dio, sappi che è ancora tutto da trovare, ovvero, una volta incontratolo non avremmo concluso quasi niente perché il trovarlo non è mai per noi una conclusione, ma sempre un inizio. La nostra missione cristiana dovrà essere volta a favorire sempre più la ricerca e l’incontro con Dio per evitare quella “condanna” destinata a coloro che non credono in Lui, per cui, è sacrosanto manifestare quegli atteggiamenti indicati da San Paolo ai Corinzi (seconda lettura) che invita a mettere in pratica certi comportamenti sani, buoni ed efficaci, rendendo così visibile Dio e le sue relazioni affinché molti possano essere raggiunti da quella condizione trinitaria che porta la pace e riempie la vita di bellezza.
Don Giuliano

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