XIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO
“Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me”. Qualche volta nel riflettere queste affermazioni del Vangelo nel gruppo di famiglie, ho ascoltato anche giudizi superficiali su questa pagina definita crudele. Purtroppo la vecchia traduzione riportava una affermazione che talvolta imbarazzava perché diceva “chi non odia suo padre o sua madre….”; il verbo odiare in qualsiasi forma uno l’avesse edulcorato raggiungeva con un pugno il petto. Non dobbiamo mai uscire con interpretazioni che esulano dal contesto in cui sono state fatte e pertanto in questo caso si parla della sequela, si parla di scegliere Cristo prima di tutto e qui non si tratta di fare a braccio di ferro fra sentimenti, ma di saperli indirizzare e armonizzare. Si può parlare di esigenza o di pretesa da parte di Gesù che vuole essere amato più dei propri genitori o figli? Si deve intendere il fatto che i discepoli nel seguire Gesù hanno lasciato non solo le reti o le barche, ma pure i familiari staccando da loro completamente la spina? Non si tratta del gioco tira e molla o sbarba cipolla si tratta di vedere Gesù presente in tutte le relazioni, si tratta di una presenza che include le altre. Certo che se io metto da una parte il Signore e dall’altra il familiare creo già in me un distacco che potrebbe portare ad una dissociazione e così non uscirò incolume da questo conflitto, da questa dualità. La riflessione allora richiede l’uso della inclusività; è questa la chiave per comprendere le parole di Gesù. Volere bene a Gesù non esclude il bene per il prossimo, anzi il bene per il prossimo ne costituisce la missione: quindi partire dall’amore verso Gesù equivale a volere bene a tutti. Se non mi comporto così sono motivo di critica da parte di chi giudica negativamente quelle persone che vanno in chiesa, ma poi si comportano male con gli altri perché non usano umiltà, carità e perdono. Allo stesso tempo può essere affermato il giudizio positivo riguardo a coloro che pur non essendo credenti o religiose siano più cristiane di altre perché si comportano cristianamente; anche qui però il giudizio non è completo in quanto non soddisfa la richiesta di Gesù. Si può essere filantropi quanto si vuole, ma se questo non ci aggancia a Cristo rimaniamo anche quel capellino lontani dalla richiesta d’amore di Gesù così da non vivere la vita in pienezza. Come in tante scelte difficili dovremmo seguire quelle dettate dalla semplicità, quelle in cui in ciò che faccio intravedo sempre Cristo, il quale non toglie nulla all’amore che rivolgo verso i miei familiari, ma vi si aggiunge anche il suo. Ed io vivrò serenamente il mio cristianesimo sapendo che amando mio figlio amo il Signore perché compio il suo comandamento e sapendo che amando il Signore non verrà meno l’amore verso mio figlio. Di quello che diamo in amore non perdiamo nulla. Dobbiamo lavorare su quel “di più” affinché costituisca un atto di fiducia necessario per dare un orientamento stabile alla nostra testimonianza e alla nostra coerenza cristiana. Ora lo sappiamo che possiamo amare di più, in quel di più c’è Dio…. ed è tutto.
Don Giuliano

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