III DOMENICA DI PASQUA

Ad un certo punto del Vangelo di Giovanni, all’inizio del capitolo 15, il Signore disse ai suoi discepoli: ”senza di me non potete far nulla”. Che cosa è la Chiesa senza il Signore? Che cosa senza quella fede che si traduce in amore che accoglie anche la sofferenza e la morte? La croce fa sempre paura, ma ricordiamoci che la croce è stata vinta, ogni domenica celebriamo la vittoria sulla morte. La croce è più leggera solo se accompagnata dall’accoglienza dell’amore di Dio. Se costruiamo da soli la nostra vita andiamo incontro al fallimento; eppure guardando a coloro che dal poco sono diventati molto, nel campo del mondo, della finanza, dello sport, dei vari successi, siamo soliti dire: quella persona si è fatta da sola. Non illudiamoci. Guardiamo Pietro e i suoi compagni, pescatori di professione, uscirono a pescare, ma non presero nulla quella notte…chissà dove erano i loro pensieri. Gesù domandò loro se avevano qualcosa da mangiare, “niente” risposero, non avevano pescato niente. Questo brano del Vangelo ci aiuta a leggere i segni nella nostra vita di insufficienza e di incompletezza quando viviamo la vita senza il Signore. Il racconto di oggi ci invita ad includere Gesù nei nostri progetti e a non vantarci della nostra sola autonomia e capacità nel fare alcune cose. Il brano riporta che dopo la grande pesca e l’aver riconosciuto (da parte del discepolo che Gesù amava), quell’uomo essere il Signore, Pietro si gettò in mare verso di Lui. Quel tuffo in mare di Pietro ricorda a tutti noi il proprio battesimo: nel Battesimo andiamo incontro al Signore attraversando un mare già navigato e purificato dal Cristo; l’essere stati battezzati ha impostato la rotta della nostra vita, ci ha già orientati verso Cristo, non perdiamo dunque la direzione che ci è stata indicata. Il clou di questa ultima pagina del Vangelo riguarda il dialogo fra Gesù e Pietro, un dialogo forte e chiaro alla ricerca di quel contatto che come un innesto vegetale e come una saldatura metallica, unisce la vita ad un’altra. Anche in questo caso, aldilà dello sforzo umano, ciò che favorisce l’incontro con il Signore sta nel fatto che è Lui che si adegua a noi, si adegua al nostro affetto. Pietro da quel momento non ebbe più paura della morte, come durante la crocifissione di Gesù, ma consapevole dell’amore di Gesù affrontò con coraggio e forza le avversità (prima lettura), e desiderò morire crocifisso a testa in giù (tradizione romana trasmessa da Tertulliano, Girolamo, Eusebio e Origene) dichiarandosi il servo del Signore. Importante per noi è riconoscere come Pietro, che siamo insufficienti, di mostrarci a Lui come siamo, disarmati delle nostre false sicurezze, bisognosi del suo aiuto e del suo amore.
Don Giuliano
Rispondi