CRISTO RE DELL’UNIVERSO

Il titolo di re attribuito a Gesù è la conseguenza del suo infinito amore donato all’umanità; un titolo che sigilla la discendenza davidica (prima lettura) con il proprio sangue versato in croce. Proprio la croce, simbolo di dolore e morte, costituisce il trono dal quale il Signore Gesù ha dominato il male del mondo e il male assoluto. Parlando di questa solennità si avverte il paradosso dell’epilogo umano di Gesù: tutti lo abbandonano e come se non bastasse, sia i capi del popolo, sia i soldati e anche uno dei malfattori crocifisso con lui, lo deridono, lo provocano, insistono sul suo fallimento. Ma accanto a Gesù, nonostante tutto, c’è chi, dopo aver ascoltato le precedenti parole di Gesù: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” lo riconosce innocente. Tutti i precedenti interventi erano mirati ad invitare Gesù a salvarsi, a scendere da quella croce; tali interventi mettevano e mettono in luce che ognuno ricerca una salvezza a modo suo, secondo una logica che spesso è quella legata al potere e al successo come se già questa vita fosse eterna. Non è così, Gesù sconvolge il pensiero egoistico dell’uomo; attraverso il suo esempio insegna che ha grande valore salvare gli altri prima di sé stesso. Non possiamo salvare noi stessi, ma possiamo salvare gli altri, così come Gesù può salvare ognuno di noi. Il solo desiderio di salvare la propria vita costituisce un campanello di allarme riguardo al cadere nell’inganno più subdolo che il male possa confezionare. Si tratta della più grande e vera tentazione che possa capitarci e che ha il potere di distruggerci. Il comportamento di Gesù sulla croce sposta l’attenzione verso il suo regno, che non è di questo mondo, ed è un regno raggiungibile solo passando dalla sua stessa vita e in questo caso passando attraverso la sua morte, il suo donarsi a noi. A guardare Gesù in croce ci sono molte persone che hanno ancora margine per riflettere su ciò che sta accadendo e che di lì a poco, giunte al termine di quel cruento evento, se ne torneranno alle proprie case battendosi il petto, forse riconoscendo la gravità dell’accaduto. C’è invece chi precede quelle riflessioni postume: si tratta di quel malfattore che intravede in quella ingiustizia verso Gesù, la possibilità di parteciparvi chiedendo non la salvezza che sembrava troppo, ma solo di essere ricordato per quel riconoscimento, quell’aver dichiarato la verità. Tale richiesta a Gesù giunge nel momento della sua massima debolezza fisica, ma nonostante ciò pronuncia verso quell’uomo la sua vicinanza e soprattutto la sua salvezza. Altro che scendere dalla croce, altro che compiere un miracolo, qui c’è di più. Il pensare la grandezza di Dio riguardo i miracoli è davvero poca cosa alla luce di ciò che Lui è capace di fare nelle situazioni più disparate della vita, anzi il soffermarsi troppo sui miracoli è fuorviante il significato complessivo della salvezza divina. La grande frase “Oggi sarai con me in paradiso” ricorda a ciascuno di noi l’importanza di essere e stare vicini a Gesù in tutte le situazioni della vita, se pur avvolte dal dolore. In quella promessa si intravede una luce…la luce pasquale, la luce della vittoria del re dei re.
Don Giuliano
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