Commento al Vangelo di Don Giuliano : XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

In questa domenica il tema di Gesù sul pane di vita si fa più intenso e più difficile. La difficoltà è dovuta alla non accoglienza delle sue parole che suonano troppo distanti ai suoi ascoltatori che conoscono la parte genealogica e familiare della famiglia di Nazareth, e quindi non riescono a far coincidere Gesù con i significati delle sue parole che accompagnano il discorso sul pane di vita come “disceso dal cielo”, “io lo risusciterò nell’ultimo giorno”, “chi crede ha la vita eterna”. Per tutte queste frasi la nostra intelligenza e il nostro cuore hanno molto da lavorare; le affermazioni di Gesù sono cruciali e non possiamo rimandare a chissà quando la nostra riflessione esistenziale e di fede. Gesù utilizza un linguaggio che provoca fraintendimenti perché ieri come oggi non sappiamo ascoltare. Gesù parla a persone che conoscono la storia del popolo, dell’esodo, ma si fermano lì, non hanno che la sola prospettiva di una rivoluzione politica. Questo accade anche oggi; ciò di cui parla il Signore non riguarda il passato, ma il presente e il futuro. Egli parla di un qualcosa che va oltre l’orizzonte dell’uomo, parla della salvezza e della vita eterna; non siamo abituati a questo genere di comunicazione, non siamo abituati a pensare oltre. Gesù però è chiaro: si identifica con il pane nuovo, diverso dalla manna, e scandalizza il fatto che quel pane è la sua parola fatta carne. Un discorso che mette in crisi la nostra ragione, crea sbigottimento, dubbi e mormorazione. La mormorazione è già un modo di intervenire su qualcosa o qualcuno già carico di giudizio negativo; in questo modo neppure Dio è esente da critiche. Gesù fa partire proprio dal Padre la volontà della salvezza per l’uomo: è il Padre – dice Gesù – che “attira” gli uomini a Gesù stesso e poi attraverso di Lui giunge la vita eterna già ora, in questa vita terrena. Rendiamoci conto: questi sono passaggi vitali, non sono discorsi di superficie perciò necessitano del nostro libero se pur debole atto di fede. Proclamarsi cristiani, se lo facciamo, non riguarda una nostra scelta ideologica, ma l’esito di un nostro impegno e di un nostro cammino di fede che mai dobbiamo abbandonare se ci ritroviamo in questa situazione. Un discorso diverso lo possono fare coloro che non credono di aver fede, in quanto non hanno aderito formalmente alla fede, ma se con la loro vita si comportano secondo gli insegnamenti di Cristo (seconda lettura) è quella la prova che dà ragione al fatto che è il Padre che chiama e che attira. Non si accoglie Dio attraverso una opinione, ma nel credere a Lui, attraverso l’umanità, quella stessa che Gesù ha scelto per parlarci, per continuare a stare con noi e per entrare “dentro” la nostra vita. 

Don Giuliano

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