Commento al Vangelo di Don Giuliano : XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO

XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti ».

La liturgia ci presenta, possiamo dire, la seconda puntata o il seguito dell’insegnamento di domenica scorsa. Ci viene presentata in maniera ancor più diretta che la distanza fra i ricchi e i poveri costituisce anche una distanza spirituale fra l’uomo e Dio. Il brano-accusa del profeta Amos preannuncia la fine di una società che ha posto al centro quella condizione di ricchezza, vissuta in modo sconsiderato, accompagnata da eccessi e lussi, mentre il popolo soffre le difficoltà della miseria. Il profeta annuncia il capovolgimento della situazione perché non corrispondente alla condizione di parità e solidarietà fra le persone; gli aspetti di disuguaglianza sociale sono anche segno di un disordine morale che pregiudicano la salvezza. Stesso motivo lo vediamo esposto nella parabola del vangelo dove in modo estremo viene descritta la differenza fra il ricco (che non ha nome in quanto la sua ricchezza schiaccia la sua identità: egli è ricco e basta) e il povero Lazzaro. La parabola costituisce una provocazione per farci comprendere quante differenze abissali possiamo creare con le persone attraverso i nostri comportamenti. Qui viene ancor più messa in luce quella conseguenza della sfrenata ricchezza che chiude gli occhi verso i bisogni altrui, ovvero distrugge la propria sensibilità, uccide il cuore. Il peccato non consiste solo nel fare il male agli altri, ma anche quello di non fare il bene. Spesso le confessioni delle persone sottolineano il fatto di non aver fatto del male a nessuno, intendendo gli aspetti materiali, non approfondendo quelli morali costituiti da offese, umiliazioni, ferite. Raramente si ascoltano confessioni che mettono in luce la propria pigrizia o il non aver compiuto azioni verso i poveri; siamo lontani da quella condizione biblica di essere gli uni custodi degli altri. Il ribaltamento della situazione dei due personaggi della parabola mira a comprendere che la finalità dell’esistenza non è quella terrena, ma quella del regno di Dio. Un giudizio che è, e sarà duro, la cui durezza possiamo affrontarla e oltrepassarla con segni e gesti di accoglienza, di perdono, di aiuto, di confidenza e di amore. Ricordiamoci che, se pur viviamo nelle condizioni favorevoli non dobbiamo chiamarci fuori dalle situazioni di povertà che vivono accanto a noi, siano queste povertà materiali o morali, dobbiamo mettere in gioco la nostra buona volontà per non cadere in illusioni che poi tradiranno tutta quanta la nostra vita. Si tratta di una vera e propria battaglia da affrontare lungo la nostra esistenza come insiste San Paolo rivolgendosi al suo collaboratore Timoteo (che chiama uomo di Dio) accogliendo ciò che Dio ci dà, la fede, che va oltre le ricchezze terrene e che ci apre la vera strada verso l’immortalità. Il Signore è risorto dai morti: ciò sia motivo di speranza per confidare sempre in Lui e incoraggiamento per impegnarci nell’ascolto e nella pratica della sua parola, profezia di vita per tutti.

Don Giuliano

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