XVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO.

Ci apprestiamo a chiudere il capitolo 13 di Matteo “delle parabole” anche se ve ne sono presenti in altri capitoli. La parabola della rete e dei pesci buoni e non buoni è simile al grano e alla zizzania e si pone sullo stesso piano di domenica scorsa mentre quella del tesoro nel campo e della perla preziosa si riferiscono all’impegno personale volto a ricercare e ottenere ciò che è più importante in assoluto nella vita. Quante cose hanno valore per noi? Abbiamo tante cose, ma ognuna di esse serve per una parte di noi. I vestiti servono, l’auto serve, i soldi servono, ma tutto questo serve per la nostra felicità? Potrebbe essere vero anche il contrario; cioè: in che modo servo la mia auto, o la mia casa o le mie cose o gli stessi soldi? Un certo modo di servire denuncia il fatto che siamo schiavi di ciò che abbiamo. Per raggiungere lo scopo del possesso riferito a ciò che ci sembra avere valore occorre conquistarlo, occorre cedere, occorre rinunciare ad altro. Il Vangelo ci parla di qualcosa che ha il valore più grande, di qualcosa che ha in sé il senso ultimo e infinito di tutto ciò che ci circonda: il Regno di Dio. Ciò che abbiamo o che vorremmo avere in termini di beni materiali è niente nei confronti di ciò che ci viene proposto da Gesù. Occorre per questo recuperare dentro di noi la distinzione fra ciò che davvero è essenziale e ciò che non lo è imitando la richiesta di Salomone (prima lettura) nel chiedere a Dio, non il potere o la ricchezza, ma il discernimento, la capacità di riflettere profondamente, che ci aiuta a compiere scelte giuste. Quale lavoro da fare? Quale fatica da affrontare? Quella che coinvolge noi stessi: cercare di scavare dentro il nostro cuore e trovarvi la perla preziosa. Sta lì al centro dei nostri interessi e del nostro amore, ma guai a confonderla con la ricchezza materiale, il divertimento a tutti i costi, la realizzazione di quello che desideriamo noi…. no, la perla è l’amore di Dio, trovarlo, incontrarlo, viverlo è ciò che di più grande possa esistere a questo mondo e sicuramente anche promesso per quello successivo. Occorre fare tesoro di tutte quelle volte che abbiamo avuto la sensazione di aver incontrato qualcosa di superiore alla nostra talvolta banale e piatta ordinarietà. Quel qualcosa che attraverso una lettura, un’esperienza, una persona, una circostanza fortuita ha caratterizzato un incontro anche per caso che ci ha cambiati o anche solo ci ha portato a riflettere seriamente su ciò che davvero è la propria vita. Dal trovare qualcosa e prendere decisioni come quelle trattate nella parabola occorre una molla, quella identificata come la felicità o meglio la gioia (parola più breve, più tonda, più avvolgente). La gioia vera, consapevoli o meno, è quella proveniente dalla comunione con Dio, è quella in cui è presente Dio. Ciò ci fa riflettere sul fatto che l’essere felici o contenti non significa possedere la gioia perché la gioia vera è Dio stesso; e ancora: non è detto che chi si dice cristiano possegga la gioia, la gioia pretende continuamente la conversione ad essa. Il vedere cristiani non soddisfatti getta un’ombra sulla testimonianza da dare al mondo: “quando si è tristi non si parla bene di Gesù” (Papa Francesco ai catechisti). Il Signore ci ha rivelato l’importanza del Regno, così la Chiesa ci aiuta a ricordarlo, ma anche ciascuno di noi deve farsi promotore di questa informazione, aiutare a scoprire il tesoro o la perla preziosa della propria vita: Dio…costi quello che costi.
Don Giuliano

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