XXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Gesù a un certo punto del cammino cerca di fare chiarezza nei confronti delle persone che lo seguono, li invita a rendersi conto che seguirlo significa operare scelte non facili e soprattutto pronuncia parole pesanti che arrivano dentro, al cuore di ognuno. C’è da dire che la traduzione precedente era ancora più dura e insopportabile in quanto comandava di odiare il padre, la madre… Come dare seguito alla competizione affettiva che esige il massimo degli affetti a favore di Gesù sopra i legami familiari, di sangue? Gli studiosi ci tendono una mano sottolineando che si tratta di costituire un ordine di preferenza come già affermato (Dt 6,15) e in questo caso (fosse facile) destinare a Dio il primo posto. Occorre amare non di meno i propri familiari e la propria vita, ma amare di più il Signore. Il Signore chiede di essere amato di più perché è Lui la sorgente dell’amore, perché è Lui il presente nascosto nell’amore dei nostri cari. Chiede questo perché Lui ha dimostrato di amarci di più. Anche Lui si è abbassato manifestando amore verso il Padre, nel segno dell’obbedienza, e ha anche amato l’umanità nel segno del servizio. In questa duplice azione obbedienza-servizio si sviluppa la libertà, la nostra scelta d’amore verso Dio prima e verso l’uomo dopo. I nostri affetti più importanti non vanno vissuti in modo possessivo, ma come un dono da custodire. A sostegno della presa d’impegno della sequela, Gesù aggiunge due parabole che riguardano il discernimento e il calcolo necessario per affrontare e portare a termine le scelte della propria vita. Questo serve a ciascuno di noi al fine di non dare per scontata la nostra sequela; sono facili i “si” liturgici, ma poi durano il tempo di una celebrazione, subito il nostro cuore viene abitato da molteplici pensieri, desideri, non sempre positivi, non sempre buoni. Prendiamo atto della nostra precarietà (prima lettura) che ci rende svantaggiati nel contrastare il nemico, il male, ma consapevoli di essere bisognosi di protezione, condizione che esige vivere l’esistenza senza mai sganciarsi da Lui, amarlo sempre e sopra tutto e tutti. Occorre non fare da soli, ma richiedere, come Salomone, il dono della sapienza divina, utile per compiere scelte che vadano nella direzione dell’amore. Quando Gesù parla della croce pensiamo di capire perché ci sembra che tutte le avversità e le croci capitino a noi; invece non è così, non ci capiamo nulla. La croce si presenta, non per schiacciarci, ma per essere superata solo ed unicamente con l’amore, come ha fatto Gesù. Con questa richiesta esigente, Gesù non vuole privarci della gioia umana, anzi desidera che la nostra gioia sia piena, completa, e colui che la può rendere tale è Lui stesso. Se mettiamo il Signore al centro, la nostra vita, con assieme tutte le nostre relazioni seguirà un nuovo ordine nel quale non perderemo nulla, ma avremmo tutto da guadagnare in bellezza, gioia e amore in quanto tutto viene rivestito e rinnovato da Lui.
Don Giuliano
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